Alle origini del mito della carpa koi, c’è il racconto orientale tra i più conosciuti in occidente, quello della carpa che divenne un drago.
Un’antica leggenda cinese racconta di una carpa coraggiosa e perseverante divenuta in seguito simbolo del Giappone: si narra, infatti, che la carpa fosse stata in grado di risalire controcorrente il Fiume Giallo, al fine di raggiungere la cosiddetta Porta del Drago, oltre alla quale si aveva accesso alla Grande Cascata del Fiume Azzurro. Dopo aver superato mille ostacoli e spiriti malvagi, gli dèi, impressionati da tanto coraggio, trasformarono la carpa in un grande drago immortale. Il significato di questa leggenda è legato alla forza di volontà, alla determinazione e al cambiamento, sottolineando che è possibile compiere grandi imprese se si è dotati di perseveranza e spirito di sacrificio.
Questo percorso iniziatico simboleggia il percorso dell’essere umano stesso che, se sviluppa in sé costanza e perseveranza, può emergere dalle bassezze della vita e divenire erudito e cosciente di sé.
Questo racconto mi è venuto subito alla mente quando ho saputo da Emilio Capozza del dono che aveva fatto al Maestro Kunio Kobayashi, da poco nominato Terzo Successore della Keidō, la più pregevole scuola giapponese per l’esposizione di bonsai e suiseki.
Ma facciamo un passo indietro… è l’otto ottobre 2016 quando Emilio acquistò da Gian Luigi Enny una pietra di quelle che successivamente Tom Elias – noto esperto suisekista, già Presidente del Bonsai Club International – battezzò come “Botero stone” (per via delle peculiari rotondità che caratterizzano questo materiale). Dopo aver chiesto a Felice Colombari – suisekista di primissimo rilievo ed incredibile daiza-maker – di realizzarne il daiza, quella che era semplicemente una bella pietra dal buon potenziale evocativo, iniziò a percorrere la sua strada come suiseki ascrivibile alla categoria Keisho-seki – pietra oggetto, col nome di “Nikko il monaco”.
Dopo aver preparato un degno allestimento, Emilio espose il monaco a diverse manifestazioni, ognuna delle quale gli diede l’occasione per perfezionare la scelta dei diversi elementi d’accompagnamento per poter giungere ad un risultato il via via più pregevole ed evocativo possibile. I riconoscimenti e gli apprezzamenti non tardarono a venire, e dovunque fosse presentata suscitava ammirazione da parte di tutti.
Tra le manifestazioni più importanti a cui partecipò non si può non annoverare la Crespi Suiseki Cup del 2017 (primo posto ad ex aequo col suiseki di Paolo Dassetto), il Congresso AIAS del 2018 (primo posto cat. oggetto), Natura d’Inverno del 2018 (primo posto), l’International Suiseki online Competition del BSAPI (bronzo) e dulcis in fundo, la partecipazione in Giappone alla Japan Suiseki Exhibition, dove i giapponesi hanno potuto osservare da vicino quel materiale tanto apprezzato da Tom Elias, che poco tempo prima aveva scritto un articolo per un’importante rivista giapponese di suiseki incentrato proprio sulle Botero stone.
Un cammino controcorrente per questo suiseki, dunque, dall’Italia al Giappone, patria natia del suiseki. Un cammino che ben stigmatizza quanto deleterie, inutili e pretestuose siano le polemiche in merito alla differenze tra suiseki italiani e stranieri (come se vivessimo su pianeti diversi), polemiche a cui purtroppo siamo abituati e che si rinnovano fastidiosamente ad ogni manifestazione.
Il vero suiseki risponde a dei valori, non a dei luoghi. Abituati come siamo a semplificare tutto e ad attaccare ciò che è “diverso”, rischiamo seriamente di perdere di vista il vero spirito che alimenta questa nobile ed antica pratica.
Così come scrivevo in una mia precedente riflessione (il mio suiseki), quest’arte ci insegna che:
l’immaterialità e la finalità espressa dal suiseki è ben più importante della sua materialità, del suo possesso. Occorre, dunque, raggiungere un necessario distacco verso “l’oggetto suiseki”, primo passo indispensabile per entrare in armonia con la sua essenza, passo senza il quale rimaniamo relegati ad uno stadio di consumistica materialità.
In tal senso, mai fui così profetico. A differenza di tantissimi altri appassionati, il nostro buon Emilio ha deciso di donare questo importante suiseki allo Shunkaen Bonsai Museum del Maestro Kobayashi, dimostrando – di fatto – come le qualità estetiche del suiseki diventino qualità etiche e morali, e scrivendo una pagina importante nella storia del suiseki.
È l’Avere che diventa Essere. È l’evoluzione dall’avere un suiseki all’essere un suisekista. Tra le qualità poc’anzi accennate, vi è quella del distacco – datsuzoku 脱俗 – valore che qui trova il suo riscontro etico nel non attaccamento al possesso ed alla materialità dell’oggetto.
Grazie all’interessamento diretto da parte di Tom e di sua moglie Hiromi Nakaoji, è stato recapitato “ingannevolmente” il suiseki a casa del Maestro col pretesto di averne una sua opinione. Durante una call su Zoom con Hiromi ed Emilio, il Maestro ha espresso tutta la sua ammirazione per la pietra, dicendo che, viste le fattezze, avrebbe dovuto chiamarla Hotei (il dio dalla bisaccia di pezza, noto in Giappone come il Buddha sorridente).
Tanta l’incredulità, la gioia e la commozione quando il Maestro ha capito che Hotei era un dono per lo Shunkaen da parte di Emilio.
Come per il caso della carpa che divenne drago, anche in questo caso Nikko è divenuto Hotei, ed avrà nei tokonoma dello Shunkaen Bonsai Museum il luogo perfetto dove poter vivere… perché la vera bellezza non la si può possedere, ma soltanto ammirare.