Se vogliamo usare una classificazione originale, il bonsai è, in senso classificatorio, un “artefatto” così come G. Dickie formulava nella propria teoria a proposito dello stato di conferimento di status dell’arte. Partiamo dal principio che ogni cosa esistente è impermanente. Quando si comincia a considerare ciò, si analizza con occhio diverso e critico ogni cosa in maniera diversa.
In campo artistico la forma è sostanza. Un’opera dovrebbe essere classificata come “artistica” non solo se trasmette qualcosa al senso del bello che è intrinseco all’essere umano, ma anche se lo fa usando una determinata forma. Se la forma prevale il contenuto s’impoverisce, ma se è assente, l’opera smette d’essere “artistica” e diventa qualcos’altro.
Una necessaria premessa
Un’operazione artistica può coinvolgere lo spettatore a prescindere da un alto livello di espressione formale, cioè un artista può servirsi di oggetti in modo da stimolare una partecipazione attiva, ma è evidente che quando manca, da parte dell’utente, l’apprendimento di un lavoro propedeutico alla fruizione dell’opera d’arte, il risultato finale sarà sempre molto scarso, molto più scarso di quanto lo sarebbe se lo spettatore fosse posto davanti a un’opera di grande valore formale di cui però non ne comprende l’essenza.
L’arte è conoscenza, oltre che senso del gusto, del bello, dell’armonia delle parti ecc. L’arte è duro tirocinio, cioè scuola, apprendimento di tecniche, di metodiche, di specificità disciplinari… il che implica una certa applicazione.
Non vi è nulla nel campo animato o inanimato, organico o inorganico che si possa definire permanente, e anche se applicassimo questa etichetta a qualcosa, inesorabilmente essa sarebbe destinata a cambiare, a sottoporsi ad una metamorfosi. Anicca (impermanenza), dukkha (sofferenza) e anatta (inconsistenza dell’io) sono le tre caratteristiche comuni ad ogni esistenza cosciente.
Dobbiamo saper riconoscere il fatto dell’impermanenza non solamente nel suo aspetto facilmente riconoscibile, intorno e all’interno di noi stessi. Oltre a ciò, dobbiamo imparare a vedere la realtà sottile che noi stessi stiamo cambiando ogni momento, che l’io di cui siamo così infatuati è un fenomeno in flusso costante, in continuo cambiamento.
Le sensazioni all’interno di noi stessi sono la più palpabile espressione della caratteristica di anicca: l’impermanenza. Osservandole, diventiamo capaci di accettare questa realtà, non solamente per convinzione intellettuale, ma per nostra esperienza diretta. Ogni cosa che ha la natura del sorgere ha anche la natura del cessare. Ogni cosa esistente è impermanente.
Tutti gli oggetti sono manifestazioni momentanee, lampeggiamenti effimeri che durano soltanto per un momento singolo. Impermanenza significa che tutti i fenomeni (cose, esseri, sensazioni, emozioni, pensieri, situazioni) sono soggetti al nascere e morire. Tuttavia, senza l’impermanenza, la vita non sarebbe possibile: un seme non potrebbe crescere e generare un albero, un bambino non potrebbe invecchiare, ammalarsi e morire. Entriamo adesso nello specifico del bonsai.
Prima di parlare dell’impermanenza voglio introdurre il concetto di una parola presente nella lingua giapponese in un numero enorme di espressioni: MA. Indica spazio, vuoto, distanza, intervallo ed è un concetto sfuggente ma onnipervasivo che permea anche il campo dell’arte, della percezione del bello e direttamente quello del bonsai.
L’”interpretazione” che viene data alla pianta in sé è la diretta conseguenza del ”modo” in cui questa viene percepita e filtrata attraverso la sensibilità del bonsaista ed è qui che respira MA.
L’estetica giapponese prevede il maestro come un tramite, in cui “tra-scorrono” il sentimento e l’espressione. Nel processo di percezione della forma, la sensibilità di MA è in un certo senso parte della materia prima.
MA, nella sua accezione all’interno dell’arte bonsai, si appunta come attitudine comune anche alle dottrine estetiche dell’asimmetria, dell’incompletezza, dell’imperfezione, considerate più rivelative della forma conclusa ed esplicita.
L’impermanenza della forma è dovuta a vari e molteplici motivi. Il più ricorrente è che il tempo modifica lo sviluppo dell’albero, ne modifica la struttura dei rami, matura il tronco e quindi si manifesta la necessità di una revisione della forma. Questo tipo di intervento non è ricorrente perché avviene a distanza di molti anni.
Un altro motivo è dovuto alla maturazione della visione del bonsaista per cui, ad un certo punto del percorso della pianta, questa non soddisfa più l’autore che ne trae una visione parzialmente o radicalmente diversa da quella che aveva. Questo processo di ristrutturazione dell’esemplare rientra anch’esso a pieno titolo nell’impermanenza della forma.
I bonsai risentono degli stili che inevitabilmente cambiano e si evolvono nel tempo. Anche per questo motivo un bonsai va rivisto nel tempo alla luce di una diversa estetica. Il bello vive solo nel suo ricrearsi continuo da parte del bonsaista che diviene al contempo fruitore della sua opera. Il bello nel bonsai ha un bisogno continuo di rinnovarsi, ha bisogno di evolversi nella forma e nel tempo, e questa esigenza, quella che pretende un bonsai è quasi una condanna ad una condizione perenne del bello e del sublime. Tutto ciò si risolve in una mutazione (quindi) impermanenza della forma. Il bonsai non è una forma d’arte statica, quindi immutabile. Non è una scultura o un quadro. È arte viva perché è arte che vive, quindi muta e si evolve.
Ecco perché un bonsai non sarà mai un’opera d’arte terminata. Il suo processo estetico sarà in continua mutazione e sottoposto ad una continua valutazione critica da parte dell’autore che viene spesso preso da una inquietudine. La visione estetica è in perenne cambiamento. L’impermanenza della forma nel bonsai costituisce uno straordinario input che sollecita la creatività del bonsaista, che lo tiene allertato ad una continua sorveglianza della propria pianta dal punto di vista critico. Oserei dire che preoccupa maggiormente la forma del bonsai che le cure orticolturali alle quali esso deve essere sottoposto.
La forma del bello è racchiusa, per il bonsai, nei concetti di Armonia e Simmetria, Disarmonia ed Asimmetria. Nel primo caso l’aumento di complessità rende meno facile l’immediata traducibilità in forme semplici. La bellezza è fondata sulla semplicità in questo è racchiuso il segreto del bonsai. Il bello vive nella forma del bonsai soltanto nel suo ricrearsi continuo da parte di ciascun fruitore. E avviene la scoperta del Sublime attraverso il Disarmonico, l’Asimmetrico, il Disequilibrio.
Dal punto di vista del bonsai, non si tratta di sottomettere e umiliare la natura, ma di conoscerla e innalzarla nella nostra intima considerazione, conservandone intatta la potenza e la maestà nella rappresentazione dell’albero. Si cerca così lo choc di una esperienza esotica forte, ma addomesticata, che surroghi una bellezza familiare (l’albero), divenuta in Occidente ancora più incapace di generare scosse emotive.
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One Response
Davvero interessante l’ articolo dell’ amico Antonio Ricciardi. Una cosa però vorrei obiettare: non vorrei che a causa di questa Inconsistenza della materia, si debba per forza modificare in continuazione nel tempo un Bonsai ritenuto famoso, ma apportare solo qualche leggera modifica che mantenga sostanzialmente l’ immagine storica della pianta. È vero, un bonsai può cambiare forma e stile, se nel percorso degli anni subisce traumi o perdita di rami, ma se non interverrebbe la forma data in un periodo in cui risultava molto bella e ineguagliabile,, stravolgere tanto per cambiare mi sembra poco educativo