Un seme dal Vesuvio

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Non tutti i napoletani dentro le loro case sanno indicare al di là del soffitto dove è il carro dell’orsa. Ma ognuno in qualunque stanza si trovi, sa dire per certo dove sta il Vesuvio.

Erri De Luca

Il vulcano, dispensatore di vita e di morte, a tre anni dal più grande massacro ambientale causato dall’uomo che lo abbia mai riguardato, mostra ancora le sue profonde ferite  che ne hanno modificato morfologia, flora, habitat. 

Eppure la natura ha saputo fare il suo corso e giorno dopo giorno, mese dopo mese, ha iniziato a cancellare i colpi inferti dall’uomo. Ad appena tre settimane dallo spegnimento degli ultimi incendi, le ginestre già ritornavano miracolosamente alla vita.

Mi accingo ad iniziare un’escursione proprio su questo simbolo mondiale partenopeo, quando il mio sguardo si posa su una pigna. Nel contesto di quella desolazione iniziale, la prima immagine che mi balena nella mente è quella di una bomba a mano… chissà se l’uomo ha progetto la forma di questo strumento di morte inspirandosi a quello che in natura è un organo dispensatore di vita

Sarebbe un curioso paradosso in effetti. È forse a questo paradosso che si saranno ispirati gli ideatori del “seedboms”, le ormai famose bombe di semi?!

In una singola semplice pigna, vi è “innescata” la potenza di un intero bosco. Ecosistemi potenziali racchiusi in una mano, che abbisognerebbero per crescere solo di un po’ di cura e protezione (o, quanto meno, di lasciar fare a madre natura). 

Il seme è potenzialità, inizio, speranza del divenire. L’uomo, benché facente parte lui stesso della natura, ha però la possibilità di scegliere, se dar seguito a questa silente promessa esistenziale, o negargli ogni sviluppo. 

Questa scelta non è però controllo, ma soltanto illusione. La natura ha una percezione del tempo completamente diversa da quella dell’essere umano, e prima o poi trova sempre il modo per ritornare alla sua iniziale vocazione: la vita. L’uomo ha due possibili scelte: assecondare la natura e vivere – con/in – essa, o condannare la propria specie. 

Sarà per questo che chi pratica il bonsai con una consapevolezza più profonda, sviluppa nel tempo una sensibilità diversa che lo porta ad assecondare lo sviluppo dell’albero, e non ad imporgli una forma che lo stravolge nella sua essenza.

Nell’educare il bonsai, ci viene da esso rivelato il nostro ruolo nel mondo, in funzione al legame che abbiamo con la Natura. Essere bonsaisti vuol dire emozionarsi per una gemma (il nome dice tutto) appena dischiusa, ammirare una vecchia corteccia, inebriarsi del profumo di un fiore… 

Quante cose contiene questo seme!

Per sensibilizzare le persone su queste tematiche, da Novembre il Napoli Bonsai Club farà dono ai propri associati – ed a chi lo vorrà – dei semi da coltivare, da accudire a da seguirne lo sviluppo. 

I cambiamenti più importanti nascono sempre da piccoli gesti, piccoli quanto un semplice seme!

ph cover: “Amarsi a Napoli” © Carlo Scafuri

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